Nel 1957 venne pubblicata postuma la monumentale raccolta di Alberto Favara, nota come “Corpus di Musiche Popolari Siciliane” con un’introduzione del Prof. Giuseppe Cocchiara. L’opera era il frutto di lunghe ricerche (1896-1923), condotte prevalentemente nelle campagne e nei paesi della Sicilia Occidentale, durante le quali il musicologo ascoltava dal vivo melodie e ritmi del lavoro e della vita; danze, testi, voci dei venditori ambulanti… ed era sempre attento a scorgerne i legami con la poesia popolare e collegamenti con antichi repertori ellenici. Raccolse così, circa un migliaio di brani musicali, suddivisi in canti lirici, storie, ninna nanne, canti del mare, canti religiosi, giochi, filastrocche, canzoni da ballo, musiche strumentali, abbanniatine, tammuriniate e tammiriddate. Tale ingente patrimonio, raccolto sul campo e successivamente trascritto, fu poi suddiviso in generi e repertori, e costituisce ancora oggi il fondamento dell’etnomusicologia in Sicilia. Ecco la premessa che mi sembrava atto dovuto alle abbanniate o vanniate… dipende dal paese dove ti trovi.
Bandire, dare pubblico avviso gridando o cantando, vendere all’incanto la mercanzia, è la traduzione che si può dare in italiano al vocabolo siciliano “abbanniata” o “vanniata”.
In tempi passati, il venditore ambulante, che teneva la sua mercanzia in delle ceste o coffe o in cassettine portate a tracolla o trasportate da biciclette o carrettini spinti a mano o trainati da asini, con “l’abbanniata” offriva al pubblico la sua merce e stimolava il compratore all’acquisto. L’abbaniata non era solo prerogativa dell’ambulante ma anche del “putiaro” (bottegaio) che davanti la sua “putia” “abbanniava” la sua mercanzia.
Da qui nasce il vecchio proverbio:
“U putiaru socc’avi abbannia!”
I canti che avevano origine araba, assomigliavano allo stile di canto dei carrettieri. Alcuni studiosi musicologi, come il sopra citato Alberto Favara, hanno annoverato questo genere di canto di “abbanniata” fra i canti popolari.
“La robba abbanniata è mezza vinnuta!”
Anche a Trabia abbiamo una tradizione di abbanniatine e tra le mie ricerche si possono annoverare molti mestieri ormai in disuso come: u sciachitaru, u salinaru, u ghiacciaru, u pignataru, u stagnataru, lu carbunaru, l’acqualoru, u gelataru, u pisciaru, u caliaru.
Durante gli anni Venti del “900, Agostino Vallelunga andava vendendo la pietra quarzosa del Calvario “U sciacchisu” per strada e si spostava fino alla vicina Termini Imerese.
“u Zu Ustinu Varbanazzu sta passannu
Cu savi a stricari i pignati
A petra ru Carbaniu!!!”
Tra i pescatori una delle abbanniate più colorite era quella di Antonino Vallelunga “Ninu occhi bianchi” con un chiaro riferimento al luogo dove era pescata la mercanzia.
“Chi belli Fraieddi….
I rizzi ri Santa Rusulia
cu si mancia sarricria!!!”
Oppure Totò D’india “U Cucummaru” che girava con la sua vespa bianca gridando:
“Vivo Vivoooooo!!!”
Ormai celebre è rimasta la cantilena di Don Totuccio Ra Baaria al secolo Salvatore Di Piazza che vendeva frutta secca aromi e baccalà salato.
“A calia e a simenza
a nocciolina atturrata
chi bedda e sta nuci
A Fastuca vi purtaiu!!
U megghiu baccalaru u portu Io!!!”
Di Don Totuccio ricordiamo con affetto l’abbanniata che fa tutti gli anni al passaggio della Processione del Santissimo Crocifisso:
“Riciti tutti cu mia
Avi un annu ca u fai sta via
Viva u Santissimu Crucifissu ra Trabia !!!”
E continua:
“Sugnu Don Totò ra Baaria
Avi tant’anni ca vegnu a Trabia
e ora gridati tutti cu mia
Viva u Santissimu Crucifissu ra Trabia Viva!!!”
Come dimenticare tra i fruttivendoli “U Zu Giacumino” Giacomo La Rosa Mazza che faceva l’elenco di tutto quello che aveva sulla sua Ape con una vera e propria cantilena
“Aiu Pira
Aiu i Puma
Aiu i Patati
A faggiolina nica nica
U pummaroru pa nzalata!!!”
Oppure un’altra abbanniatina famosa nell’ambito dei fruttivendoli è:
“U finuocchiu pa nsalaaataaaa! Ma che bellu stu ran finuooocchiuuuu!!!”
Andando ancora indietro nel tempo, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, si ricorda uno strano mestiere il venditore di sanguinaccio, “U Zu Pinù Ucchiazza”, così lo chiamavano, girava il paese con un secchio di ferro con dentro la sua mercanzia e abbanniava:
“u Sagunazzu vi purtaiu!!!”
Un altro mestiere caduto nel dimenticatoio è quello del lattaio. Come non ricordare la figura di “U zu Pè Manfrè”, Giuseppe Manfrè il lattaio, che girava per le strade con la sua mucca a seguito, il secchiello di ferro e divideva il latte che le mamme e le nonne si facevano mettere o nelle bottiglie di vetro o direttamente nei pentolini e abbanniava:
“U latti friscu pi picciriddi!!!”
Ricordo ancora vivo nei cuori dei Trabiesi è “U Zu Lorito”, che con la sua Ape modificata vendeva il gelato strada per strada abbanniannu:
“Stracciatella Caffè nocciolaaa!!”
“Fragola e limone
A brioscia cu gelato!!!”
E ancora, i ragazzini per guadagnare qualcosa per le vacanze estive, nelle calde giornate assolate, andavano per le vie del paese con una cesta colma di treccine con lo zucchero e abbanniavano”
“Brioooooo…..Scineeeeee!!!”
Ancora adesso sembra si senta l’eco della voce di ” U zu Ninu Parisi” che portava il pane e altri prodotti da forno, nella sua lambretta e lo riuscivi a sentire da tre strade sopra la tua.
“Paneeeeeee… signora Mariaaaaa!!!
Aiu i briosce!!!”
Nella famiglia Parisi, oltre a Nino anche “U Zu Turi” faceva il venditore ambulante di verdure stagionali che lui stesso andava a raccogliere. Tra le tante mercanzie come non ricordare l’odore inebriante, nelle calde giornate di luglio, dell’origano che riempiva le strade al suo passaggio.
“Aiu u riniuuuu
I Caluziiii
I finucchieddiii ri muntagna!!!”
E prima del carnevale passava per le strade per vendere “I busi pi maccarruna”
“Aji i busa pi maccarrunaaa!!!”
Un altro mestiere caduto del dimenticatoio è il venditore di scope o “scupiddi” fatte con la “Giummarra” ovvero la palma nana, l’ultimo di questi è stato “U zu Carru Chiricò” che le faceva piccoline e scendeva a Palermo a venderle come souvenir; in particolare per il giorno di Santa Rita andava nella Chiesa di Sant’Agostino e invece di benedire le rose si faceva benedire “I scupiddi” che poi vendeva in giro come porta fortuna.
“I scupiddi ri Santa Rita aiu!!!”
Le abbanniate non venivano usate solo a scopo commerciale ma servivano pure ad annunciare degli eventi importanti per la comunità come la festa del paese. Ecco a queso punto arrivare subito il ricordo di “U zu N’Toni u tammurinaru” che girava nei giorni precedenti per le vie del paese e gridava dopo la “Tammuriniata”
“24 25 e 26 a Festa Ru Signuri!!!”
E la sera prima un’altra coppia, uno con trombetta e l’altro con tamburino, di cui non ricordo il nome giravano per il paese dicendo:
“Sintiti sintiti dumani accumincia a Festa Ru Sugnuri!!!”
“Priparativi i picciuli!!!”
Un altro ricordo legato alla festa lo abbiamo il lunedì successivo alla festa quando tutto il corso si svuotava dalle bancarelle e si dava spazio a balle di fieno e transenne per il palio del Signore “A Cursa ri cavaddi” dove alcuni venditori di frutta secca si attaccavano delle cassettine al collo e vendevano”I coppi” già fatti gridando tra le persone:
“U passa tempu milli lì!!!”
C’era un così detto forestiero che camminava con un cappello di paglia, vendeva le uova su una carrozzella per bambini dovec’era una radio a batterie appesa al manico sempre con tarantelle e liscio e abbanniava.
“Ovaaaaa friscaaaa!!!”
Sicuramente ne dimentico tantissimi e altrettanti non li conosco completamente ma vi voglio lasciare con questo ricordo indelebile in tutti noi Trabioti; quando non avevi bisogno della sveglia perché in base all’orario c’era sempre un ambulante che ti veniva ad abbanniare sotto la finestra, che magari ti dava fastidio, ma che con il senno di poi ci fa comprendere e avere nostalgia di quella vita più semplice e meno stressata.
2 risposte a ““Abbanniata o Vanniata””
Tempi belli di una volta quando c’era bisogno di campare la famiglia con qualunque espediente.
Non dimentichiamoci di chi faceva i “panari” i “cartidduzzi.con le canne tagliate a listarelle e i “virichi d’ulivo. Da queste semplici cose ,nascevano delle vere opere d’arte che servivano per vari usi.Ricordiamo a Agostino Chirico’ detto Capo, Ciccio Parisi.Agostino Vallelunga.