informazioni sulla coltivazione e la lavorazione della canna da zucchero nel territorio di Trabia e su alcune recenti scoperte nei pressi del Castello Lanza
Diverse fonti letterarie antiche ci testimoniano con certezza che la coltura della canna da zucchero “saccharum officinarum l.” nell’area palermitana,ed in particolar modo nella fascia costiera tirrenica tra Cefalù, Termini Imerese e Palermo, era già ampiamente diffusa nel 400, mentre resta ancora oggetto di indagine e di dibattito se l’introduzione di tale coltura può essere fatta risalire al periodo della dominazione musulmana. Nella più antica descrizione del territorio di Trabia che, com’è noto, si trova nel così detto ”Libro di Ruggero” (1154), del viaggiatore e geografo arabo Idrisi, non si fa menzione del trappeto,mentre viene ricordata l’esistenza dei mulini e della tonnara, e di una “ bella pianura e vasti poderi” ricchi di acque perenni. Altre preziose notizie si possono rintracciare nelle opere degli storiografi che scrissero tra metà del 500 e i primi anni del 600.
Tommaso Farzello, annota che è “degna ancora in Sicilia di gran meraviglia la canna ebosia, detta hoppi cannamele,della quale si cava il zucchero” “e che vegeta fecondissima nel territorio palermitano”. Anche Giuseppe Carnevale segnala i lussureggianti cannameleti dei dintorni di Palermo. Scrive il Trasselli che “dall’analisi di parecchie migliaia di documenti notarili della città di Palermo, si può asserire con certezza che la canna da zucchero nell’agro palermitano teneva, nel secolo XV, il posto che oggi hanno gli agrumi”. “per tutto il 400”,continua lo studioso,”non ho mai trovato ricordo di limoni;di arance o trovato una sola menzione nel XIV secolo. Con ciò non intendo dire che gli agrumi non esistessero ne che scorrendo ancora i documenti non se ne debbano trovare altre notizie; ma l’estrema rarità di queste negli atti notarili, che rispecchiano la vita economica del paese, dimostra che gli agrumi non costituivano un’entità economica apprezzabile”.
Tra i diversi documenti citati dal Torselli viene richiamato un frammento di notaio ignoto,relativo all’anno 1461,riguardante un cannamelito del nobile Masio ( Tommaso) Crispo “in eius territorio Sancti Nicolai infra Thermas”. Ed a conferma dell’esistenza, sempre a San Nicola,di un magazzino per la raffinazione dello zucchero,può essere ricordato un contratto di assunzione de personale per i “magasena” stipulato da un altro Crispo, Rinaldo. Per quel che riguarda invece il territorio di Trabia, sembra che le più antiche notizie relative alla coltivazione della cannamela e del trappeto per la sua coltivazione,risalgono alla prima metà del XV secolo. Come si evince da un contratto stipulato dal notaio Antonio Bonafede, il 31 dicembre del 1444, i giurati della città di Termini Imerese concedono in enfiteusi le “terre vocate di la tarbia”, con mulini e castello, a Leonardo Di Bartolomeo,insigne giurista e protonotaro regio,per potervi esercitare l’industria della cannamela.
Sembrerebbe , quindi, doversi ricondurre al Di Bartolomeo l’introduzione , nel territorio di Trabia, della coltura della canna da zucchero nel XV secolo, il Farzello, descrive il litorale della Sicilia sul tirreno, da ponente verso levante, dopo aver parlato della fortezza di S. Nicolò, così scrive: “e dopo due miglia è la rocca di Trabia e molte fontane, che escono dalla rupe. Con gran copia di acqua,la quale bagna quel paese di mezzo, che è pieno di cannamele”. Quando nel 1509, Blasco Lanza atteneva l’erezione in feudo nobile della terra di Trabia, come apprendiamo da un documento conservato presso l’archivio di stato di Palermo, vennero chiaramente fissati e descritti i suoi confini e le relative pertinenze, tra le quali troviamo espressamente indicata l’esistenza di un “cannamellarum trapeto”. Nel 1517, durante una rivolta, il popolo palermitano saccheggiò il palazzo di Blasco Lanza e lo incendiò.
Approfittando dell’occasione anche un folto gruppo di cittadini termitani assalì e incendiò la fortezza di trabia, rovinando,tra l’altro,”gli ordegni,che servivano pei lavori degli zuccheri”. Un’ulteriore testimonianza ci viene offerta dall’opera di Antonio Filoteo da Castigliane,scritta sul secolo XVI (1557), dove leggiamo quanto segue: “passando avanti alla bocca del fiume di Termini ( il S. Leonardo) per lo spazio di due miglia in circa,si trovano le altissime rupi dalle quali zampillano freschissime,limpidissime e chiarissime acque in molta abbondanza,chiamate da alcuni (Tirreria). Quivi è una forte terra a rocca con una osteria detta della Trabia, del barone di Castania di casa Lanza, dove sono i trappeti per fare i zuccheri delle cannamele,che quivi con queste acque gran quantità se ne fanno”.
E, infine, nel 1593, nel rapporto redatto da un regio funzionario napoletano, inviato in Sicilia per contabilizzare la produzione dello zucchero dei vari trappeti, si può leggere: “… particolarmente sono di grandezza li trappeti di Partinico, Acque Dolci, Trabea, Brucato, Milici, Santo Nicola et li Ficarazzi”. Queste,dunque,alcune delle fonti e delle testimonianze storiche sulla coltivazione la produzione della canna da zucchero a Trabia. C’è però una nuova,importante testimonianza di carattere “archeologico” che in questi ultimi anni si è aggiunta a quella letteraria. Ci riferiamo alla individuazione ed al recupero di centinaia di frammenti,riferibili ai contenitori ceramici usati nella produzione dello zucchero,e, ancor più esattamente, a bordi e parti di corpo delle cosi dette “forme”, dove veniva messa a decantare la melassa zuccherina grezza. Si trattava di recipienti di terracotta a forma di “cono” capovolto,muniti di un foro finale che permetteva di filtrare le impurità, che colavano in un altro vaso munito di anse, chiamato “ cantarello”.
In seguito ad una prima segnalazione, che si deve allo studioso palermitano Pippo Lo Cascio, lo scrivente (Roberto Incardona), in compagnia di due appassionati, ha effettuato alcuni sopraluoghi nell’area sottostante le mura del Castello Lanza, che sorgono sopra le numerose grotte e gli scogli erosi dal mare. Qui affioranti dal terreno venuto allo scoperto in seguito ad alcuni crolli, sono stati recuperati alcuni frammenti di tali contenitori, ancora in ottimo stato di conservazione. Purtroppo nessun esemplare si è conservato integro, perché utilizzati durante i lavori per il riempimento e l’ampliamento delle terrazze della fortezza. Questi manufatti sono attualmente oggetto di studio e ci auguriamo che possano essere al più presto presentati al pubblico Trabiese unitamente ad uno scritto che illustri la funzione e la storia
Roberto Incardona
Una risposta a “La Canna da zucchero a Trabia”
Ricchezze storiche del territorio che vanno ad arricchire le potenzialità del territorio trabiese