Di questo strumento sociale che ha educato generazioni prima dell’invenzione del cucchiaio di legno si è detto di tutto, ma forse c’è ancora qualcosa che dovreste sapere.
Se Frodo de “Il Signore degli Anelli” poteva fare conto sul mago Gandalf il Grigio, chi scrive l’articolo può fare affidamento sullo studioso e amico Giuseppe Vallelunga che, quando si tratta di tradizioni popolari, non ha la bacchetta magica ma tira fuori conigli dal cilindro di quelli internazionali.
Ricordo che da bambino, di inverno, per tutto usavo i guanti tranne che per il freddo.
Due erano gli utilizzi principali che ne facevo:
a) siccome invece di avere simpatia Big Jim, He-man ed altri eroi degli anni 80’ vari, avevo una passione sfrenata per King-Kong (che non era quello di Mary per sempre ma lo scimmione) li mettevo ai piedi per assomigliargli
b) se giocavo con in compagnia di un amico, puntuale come la bolletta dell’Enel, partiva lo schiaffo provocatorio che i nobili usavano darsi col guanto al fine di avere conto e soddisfazione tramite il famoso duello.
Schiaffo, boffa, timpulata, timpuluni (se è più forte), masciddata (letteralmente colpo alla mascella), argiata (colpo nelle argi cioè in prossimità della mandibola), scorci ri coddu (se dato poco sotto la nuca), questo colpo di Karate tutto siciliano sembra avere più desinenze di rosa, rosam, rosae in latino.
In tutto questo la fantasia e la creatività dei siciliani ha dato vita a forme artistiche come quella che sfida le leggi della natura di ti rugnu un timpuluni ca pi dariti l’avutro ta bieniri a circari (ti do uno schiaffo per darti l’altro ti devo venire a cercare) e quella matematica di ti pigghiu a boffe a due due finu a quannu unn’addiventanu dispari (ti prendo a schiaffi a due a due fino a quando non diventano dispari).
Di questo strumento sociale che ha educato generazioni prima dell’invenzione del cucchiaiodi legno e dello zoccolo, creato amicizie, regolato rapporti di potere e attraversato i millenni, si è detto di tutto… tutto tranne quello che ci apprestiamo a rivelare.
Mi racconta il suddetto amico che in svariati posti della Sicilia e, sicuramente, a Trabia, paese degli spaghetti, delle nespole e dei Lanza di Trabia, fino agli anni Settanta resisteva una strana liturgia religiosa che prendeva il nome di “predica della timpulata”.
Inutile dire che quando ho scoperto l’esistenza di una tale strafigata ho risentito lo stesso senso di destabilizzazione che provai nello scoprire che l’accendino fu inventato prima dei fiammiferi e che John Travolta avrebbe dovuto interpretare Foresto Gump.
Tutto accadeva durante la Settimana Santa e, precisamente la sera del Giovedì Santo, dopo le celebrazione della “Lavanda dei piedi”, in cui, come scritto nel Vangelo, Gesù lava i piedi agli apostoli come segno di accoglienza (nel mondo antico, infatti, era prassi, poiché non essendoci ancora le strade asfaltate e nemmeno le scarpe da tennis, quando si ritornava nella propria dimora si avevano spesso e volentieri i piedi impregnati di polvere e terra: gli schiavi lo facevano ai padroni, le mogli ai mariti e figli ai padri).
Subito dopo, l’effige di Gesù Sacramentato veniva portata in processione per il paese, allora coperta da un ombrellino bianco, fino all’altare della chiesa madre (nel caso di Trabia l’altare di San Giuseppe nella navata sinistra) che veniva per tradizione addobbato con i luareddi, cioè i germogli di lenticchie, di cerali o frumento fatti crescere sul cotone inumidito.
Anche oggi, come in passato, durante la notte, la chiesa rimane aperta per consentire ai fedeli di vegliare con Gesù. Intorno alle 22 avviene così una preghiera di gruppo che ha funzione meditativa a proposito del significato della Pasqua.
Questo momento, che oggi è solo meditativo, era una volta (rullo di tamburi) la predica della timpulata. Il prete recitava dunque Giovanni 18, 12-24 dal Vangelo.
«Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina. Gesù rispose «io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono e non mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno cosa ho detto».
Aveva appena detto questo che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote? Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò legato a Caifa, sommo sacerdote».
Ecco, quando il prete arrivava proprio nel punto “Aveva appena detto questo che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù”, invece dell’odierno, più noto e rilassato “segno di pace”, le persone presenti in chiesa cominciavano a spartirsi timpulate.
Fino a che i panni sporchi si lavavano in famiglia e le timpulate restavano sotto la cupola del buon sentimento e della mortificazione della carne la cosa finiva lì.
Quando invece, a Trabia, come in qualsiasi paese del mondo, si mettevano di mezzo sentimenti un po’ meno nobili come l’invidia, l’odio, l’antipatia, o si trovano di fronte il proprietario e il contadino, il genero e il suocero, il povero e il ricco, il cornuto e l’amante della moglie, il freno a mano dei buoni sentimenti se ne andava a cachì (si rompeva, insomma) e cominciavano a volare timpulati per tutte le ruote tipo film di Bud Spencer.
Non era certo colpa del prete e nemmeno della tradizione ma molto più probabilmente della semplicità umana che non è in grado di elevarsi alla dignità divina.
Per questo motivo, la notte del Giovedì Santo, dopo che il prete si metteva a spartire la gente che se le dava di santa ragione, dopo che i chierichetti cercavano di staccare questo da quello e le timpulati non si contavano più, la gente, quando la cosa degenerava, se ne tornava a casa con l’occhio nero e la dentiera nella borsa.
Sicuramente il cunto popolare negli anni ha leggermente romanzato ciò che accadeva; ma, conoscendo l’indole umana, è probabile che qualche volta la cosa andò a finire a schifio (male).
Dagli anni ’70 circa, forse per fortuna, forse per sfortuna, forse perché di timpulati ne sono volate troppo assai, la liturgia non ha più luogo. Amen.
Gianluca Tantillo